30 anni di World Wide Web

Per 20 anni il Web è stato sinonimo di Internet: oggi è ancora così?

30 anni di world wide web

Oggi il World Wide Web compie 30 anni: il principale sistema per la ricerca delle informazioni su Internet fu infatti ufficialmente descritto dal suo inventore Tim Berners-Lee per la prima volta il 12 marzo 1989 al CERN di Ginevra, il laboratorio dove Berners-Lee lavorava come ricercatore. La prima pagina web, con la descrizione del suo funzionamento, sarebbe andata online invece il 6 agosto 1991. La storia del Web la conosciamo più o meno tutti, ma la sua evoluzione oggi pone molti interrogativi.

Ha ancora senso, ad esempio, usare il termine WWW come sinonimo di internet? Le categorie che abbiamo usato per definire Internet dagli anni '90 sono ancora in vigore? Qual è il ruolo del Web nel 2019 e qual è il suo futuro? Quali sono le dinamiche che hanno cambiato il nostro uso della rete, dai domini tradizionali, ai social network, fino all'esplosione delle app mobili e dell’Internet delle cose?

Circa venti anni fa Internet era il World Wide Web e il World Wide Web era Internet. Già nel 1996 la somma dei dati delle connessioni http superava quella degli ftp, nel 1997 nasceva Google, nel 1999 la guerra dei browser vedeva fronteggiarsi Netscape e Internet Explorer. Tutto ciò ha prosperato per anni in un'unica ‘cornice’: il World Wide Web, lo spazio di informazioni open source in cui le risorse sono identificate dagli URL, e ha avuto un solo strumento di riferimento, il browser, appunto.

Alla fine del 2004, tuttavia, le cose cominciarono a cambiare: durante la conferenza Web 2.0 di O'Reilly Media, l'editore irlandese Tim O'Reilly usò per la prima volta il termine Web 2.0 (l'imprenditore e esperto di marketing Seth Godin lo chiamerà più tardi New Web), che indicava quelle nuove piattaforme che consentivano un elevato livello di interazione tra la rete e l'utente. I blog e Wikipedia furono i primi segnali che la comunicazione di rete stava cessando di essere a senso unico: i navigatori del web non si limitavano più a consultare, ma iniziavano a interagire tra loro, diventando creatori di contenuti.

La rivoluzione del social network consolidò questo cambiamento: non intaccò il legame tra WWW e browser ma segnò uno spartiacque, aggiungendo uno spazio di disintermediazione per l'uso e la creazione di contenuti. Nati come spazi di condivisione personali e minimi - quasi un ritorno alla semplicità dopo l'opulenza di siti flash, il flop di Second Life e il primo caotico MySpace - Facebook prima e Twitter dopo dettero vita a nuovi ambienti virtuali sterminati in cui le persone potevano interagire e condividere passioni. Questa fu, in realtà, la nascita di una rete dentro il Web, esattamente come previsto da Tim O'Reilly e Seth Godin.

I grandi marchi afferrarono presto le potenzialità di questo fenomeno e aggiunsero alle loro vetrine (i siti web) degli spazi di conversazione sui social network: la barriera tra clienti e marchi diventò più sottile e vennero creati nuovi meccanismi di interazione e ‘umanizzazione’ dei marchi. In Internet diventò sempre più difficile vendersi per quello che non si era e i brand iniziarono a capire che se volevano rimanere convincenti avevano bisogno di scendere dal piedistallo e iniziare veramente a comunicare con i clienti. D’altra parte, le persone iniziarono a voler condividere i valori del marchio e vivere quello che Philip Kotler chiama ‘affinità emotiva’ che li incoraggia a diventare ambasciatori del loro brand preferito.

I social media diventarono così il nuovo terreno di colonizzazione per i brand e, dopo la guerra dei browser alla fine degli anni 2000, arrivò il turno della guerra dei social media: ogni bisogno o passione aveva i suoi social media, dalle fotografie (Instagram), al business (LinkedIn), alle immagini sulla rete (Pinterest). Una guerra che ha fatto molte vittime e in cui anche un gigante come Google è stato costretto a soccombere: il suo Google+ è morto senza riuscire mai a costituire una minaccia per Facebook. Brin e Page sono i maestri del web, ma IL social network è Facebook e Facebook è il social network. Anche Twitter iniziò a sentire i sintomi di una crisi che oggi non si è ancora risolta.

Lo scenario emergente dopo il primo decennio degli anni 2000 sembra essere tipico di una rete guidata dai due principali intermediari Google e Facebook: non c'è quasi nessuna azione intrapresa dagli utenti di Internet che non avvenga sul sentiero tracciato dai due giganti. La ricerca sul Web e la condivisione dei contenuti iniziano necessariamente da lì. Ma l'evoluzione tecnologica è imprevedibile e fortunatamente crea sempre nuovi modi per liberare chi la cavalca: le connessioni e le app mobili rappresentano un altro tassello della rivoluzione del web.

All'improvviso, la rete non è più una terra da esplorare necessariamente attraverso un computer e un browser, un motore di ricerca o un social network, ma può essere raggiunta da cellulari - attraverso piccoli software dedicati - e persino da oggetti, come gli assistenti vocali di Amazon - terzo enorme incomodo. Notizie, informazioni, orari, intrattenimento, chat, condivisione, video, musica, navigazione GPS: la potenza suprema dei motori di ricerca e dei social (in quanto tali) si indebolisce, Internet arriva direttamente nelle nostre tasche e nei nostri smart objects. Molti player capiscono che devono allargare il proprio raggio d’azione e diventare veri e propri ecosistemi dove offrire una pluralità di servizi.

In tutto questo c’è ancora spazio per il WWW? La risposta è : non solo perché il World Wide Web non è chiaramente lo stesso del 1999, non solo perché anche i siti web non sono gli stessi (responsive web design, CMS intelligenti, etc.) Ma anche perché una buona content strategy può essere realizzata solo all'interno di un sito web, con contenuti pertinenti e di valore, meno soggetti agli algoritmi dei social media – anche se sempre costretti a fare i conti con quelli dei motori di ricerca.

Torniamo quindi all'inizio del nostro viaggio: non c'è libertà su Internet senza il Web, anche se certamente Internet e WWW non sono più sinonimi. Internet viaggia ovunque, attraverso molti dispositivi (computer, smartphone, oggetti connessi, smart tv, wearable, assistenti vocali) e raggiunge molti ‘luoghi’ (siti Web, app mobili, chatbot).

Dopo tutto, se pensiamo per un momento, il destino di Internet non può che essere questo: l'apertura, comunque, proprio come voleva il suo inventore Tim Berners-Lee.